Giovani Europeisti

Giovani Europeisti

sabato 10 gennaio 2015

Intervista a Sandro Gozi - Bilancio sel Semestre Europeo


Il 13 gennaio Matteo Renzi pronuncerà il discorso di chiusura del Semestre di Presidenza italiana, facendo il bilancio dei risultati. Secondo lei, quali sono stati i passi avanti e dove, invece, si sarebbe potuto fare di più?

A mio parere il Semestre è stato più che positivo. Abbiamo cambiato il lessico europeo: prima del nostro Semestre nessuno parlava di crescita, investimenti e occupazione. Ora sono la priorità. Inoltre ci sono diversi risultati positivi tangibili: dall’accordo su clima ed energia al varo di politiche comuni sull’immigrazione. Chiaramente si poteva fare molto di più: avremmo voluto fare molto di più sul tema del “made in” per tutelare le eccellenze italiane, o sulla net neutrality.


A succedere l’Italia è pronta la Lettonia. Quali sono i temi aperti che dovrà affrontare e quanto inciderà la sua ostilità nei confronti della Russia, in un momento così delicato?

Proprio l’innovazione digitale, su cui noi abbiamo lavorato molto a partire da Digital Venice a luglio, è uno dei capitoli aperti sui cui i Lettoni intendono proseguire il lavoro. Inoltre, temi quali crescita e occupazione sono stati appena introdotti per cui è da lì che occorre ripartire. Data la posizione strategica, la Lettonia sarà chiamata ad affrontare il rapporto Russia-Ucraina con estrema attenzione.


La nomina di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante, il Semestre di Presidenza italiana e l’EXPO; l’Italia si trova, e si troverà, spesso sotto i riflettori. Qual è l’immagine che stiamo cercando di dare e quanto influiscono i numerosi casi di corruzione che sempre più spesso troviamo sulle pagine dei giornali?

Credo che esistano diverse Italie che si contrappongono: c’è quella che ottiene risultati prestigiosi a livello internazionale, tra cui la nomina di Mogherini ad Alto Rappresentante, e che organizza e gestisce positivamente eventi quali il Semestre e l’Expo. E poi c’è l’Italia del “mondo di mezzo”, quella degli appalti truccati e della corruzione. Ecco, non permetteremo che l’immagine del nostro Paese possa essere infangata dai ladri, e soprattutto non permetteremo che eventi mondiali come l’Expo (ma penso anche alla candidatura alle Olimpiadi) possano essere messi a rischio.


Quanto e come sono collegate la Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea e l’EXPO? Quali sono, secondo lei, i vantaggi più significativi che questi regalano?

Si tratta prima di tutto di vetrine fondamentali per il nostro Paese, utili per dimostrare che siamo in grado di guidare i processi di trasformazione che avvengono sempre più freneticamente nella società di oggi. Faccio un esempio molto semplice: il tema dell’Expo è “Nutrire il Pianeta”, e va a inserirsi perfettamente nel solco delle tematiche di sviluppo ecosostenibile cui abbiamo lavorato nel corso del Semestre.


Quanto siamo lontani dagli “Stati Uniti d’Europa”? Di cosa ha bisogno l’Europa per arrivarci?

L’Europa ha bisogno prima di tutto di ritrovare fiducia in se stessa e una maggior solidarietà interna. Non possiamo pensare che miopi calcoli politici in un paio di capitali europee possano minare il progetto comune. Purtroppo in questi anni la Ue invece di aprirsi ai propri cittadini si è chiusa in una pericolosa ossessione per le cifre e gli algoritmi finanziari. La strada per gli Stati Uniti d’Europa si è complicata, è inutile negarlo, anche perché molti leader attuali sono più legati a una logica intergovernamentale. Toccherà a una nuova generazione di europei dimostrare che è attraverso una completa unione politica che l’Europa tornerà a competere sulla scena globale.


Il governo tedesco ha dichiarato che in caso di vittoria del partito di sinistra radicale, Syriza, in Grecia, sarebbe pronto a lasciare che il paese ellenico esca dalla Zona Euro. Che conseguenze avrebbe? Non pensa che potrebbe generare una reazione a catena?

Nessuna delle principali forze politiche greche chiede l'uscita dall'Unione monetaria. Questo è un dato molto importante e positivo, e anche a Berlino ne sono a conoscenza. E non credo che a nessuno convenga un’uscita della Grecia, che sarebbe una sconfitta per tutta l’Unione. L’Europa deve allargarsi, non restringersi: è interesse comune fare crescere e allargare la zona euro, come avvenuto dal primo gennaio con l'ingresso della Lituania, deciso durante la presidenza italiana. Il nostro obiettivo nei prossimi mesi è di rafforzare la governance dell'euro e di fare passi importanti verso una vera unione politica ed economica.

Intervista a cura di:
Gabriele Bortolotti

mercoledì 7 gennaio 2015

Je Suis Charlie Hebdo: sulla fune di uno scontro





“Allahu Akbar, Allahu Akbar”. Poi nessun altro spazio per le parole. Parole uccise, vendicate, interrotte da proiettili. Le munizioni finiscono, mentre la voce, in risposta a quei colpi, ha già l’eco nelle piazze d’Europa.

Voce contro silenzio, fucile contro matita. Due armi di battaglie diverse che pretendono di subordinarsi l’un l’altro. Ma i proiettili non fermeranno l’inchiostro e, possiamo dirlo, le critiche non bloccheranno le uccisioni.

Dodici vittime, martiri involontari della libertà di stampa. Tre lupi solitari, che però fanno parte di un branco e ne difendono la reputazione. Proprio come lupi attaccano, senza pietà, quasi istintivamente, chi li minaccia. E chi sta a guardare, giudice, lancia l’allarme contro tutti i cani.

Chi è il responsabile? Cosa c’è dietro? Domande le cui risposte sembrano apparentemente semplici, ma, anche oggi, abbiamo capito che non è così. Pretendiamo di conoscere il terrorismo islamico, scriviamo libri e servizi come se lo facessimo dal suo interno. Ma da entrambe le parti c’è solo paura. C’è paura tra gli estremisti islamici, che temono che l’occidente gli cancelli le loro tradizioni; c’è paura in occidente, dove si teme che a essere cancellata sia la sua integrità. Da entrambe le parti poche parole e tanta violenza.

In questi momenti non bisogna dire “han tutti torto” ma neanche “è colpa nostra”. In questi momenti sarebbe necessario non reagire d’istinto, perché per restare in equilibrio, la mossa di un estremo sarà pari alla mossa dell’altro, e non possiamo più permetterci di oscillare cosi tanto. Sulla fune devi guardare avanti e pensare al prossimo passo, se no si cade.

I musulmani in Europa sono più di 56 milioni, come la popolazione italiana negli anni 90’. Se attaccassimo tutti loro sarebbe come automutilarsi, oltre a essere stupido, è anche doloroso.

“Parlavano perfettamente francese” dice il vignettista Coco, testimone dell’attacco. Ora i due attentatori, che polizia ritiene siano fratelli, portano la gloria di aver difeso il loro profeta, una gloria così facile. Perché è questo il rischio. Il terrorismo islamico è un movimento “in franchising” dove, con un investimento iniziale di coraggio, puoi crearti la tua rivincita in nome del tuo gruppo religioso. Lo abbiamo visto a Sidney, poi nella sede del Parlamento canadese a Ottawa e l’abbiamo visto anche ieri a Parigi.

L’Europa si ritrova colpita, ma non sia così cieca da istigare alla caccia del nemico interno. I partiti di estrema destra sfrutteranno la paura, senza capire che questa è la vera ragione dello scontro.

La soluzione? Pretendere di averla sarebbe ipocrita, ma la violenza terminerà solo quando i terroristi non rappresenteranno più nessuno. Quando non gli sarà dimostrata la legittimità che rivendicano. Questo deve avvenire all’interno del popolo islamico, che dovrà condannare queste violenze come se fossero a loro dirette. Gridare “Not in my name”, come fa la scrittrice italosomala Igiaba Scego. Quando capiranno che l’Islam non è sangue, in quel momento potranno veramente urlare Allahu Akbar”.


Gabriele Bortolotti

domenica 14 dicembre 2014

Cos'è HORIZON 2020




Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo chiederci cosa sia l’innovazione. Una parola abusata, per certi versi violentata, che ha supplito l’ormai demagogico cambiamento, spesso a livello politico ed economico. È il cambiamento stesso che è chiamato a dover mutare, a cambiare pelle per suscitare ancora speranza dai discorsi elettorali. È così che ha perso la sua identità e il suo connotato positivo, che però in questo breve articolo vorrei ritrovare.

Quante volte abbiamo sentito critiche alle politiche austere della Commissione Barroso? Quante volte dei cervelli in fuga? Quante ancora della sempre maggior distanza da quei paesi che fino a pochi anni fa erano chiamati in via di sviluppo? La verità è che perdendo il contatto con alcune parole, ci siamo anche dimenticati come applicarle. Incolpiamo le politiche macroeconomiche e le irraggiungibili istituzioni europee, ma è proprio qui che sbagliamo. L’innovazione nasce a livello locale, da pochi cittadini che hanno in comune un’idea e una buona dose di coraggio.

In un mercato così concorrenziale però, queste due caratteristiche non bastano. Sono necessarie competenze e dinamicità, creatività e pazienza, ma quasi sempre, queste bellequalità, sono messe in ginocchio da un fattore dominante: i fondi.

È qui che entra in gioco Horizon 2020, il nuovo programma quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione, che in sette anni metterà sul tavolo 80miliardi di euro (2014-2020). Questo programma è in realtà operativo già da un anno, ma nonostante ciò, non se n’è parlato molto, anche se la sua struttura semplificata è innovativa, poiché accompagna attraverso tutte le fasi, che vanno da Principi di base osservati (cioè la ricerca necessaria a garantire un progetto ancora astratto) fino al vero e proprio Accesso al Mercato.


Chi può ricevere fondi?
  Qualsiasi Consorzio composto da almeno tre persone, residenti in uno dei paesi membri dell’Unione Europea, che dimostrano di poter cofinanziare il progetto. Horizon si rivolge soprattutto ai ricercatori e innovatori all’apice dei loro settori di ricerca, ma finanzia anche la formazione e la mobilità di questi, con l’obiettivo di colmare il divario che intercorre tra ricerca e il suo concreto sfruttamento.

Quali sono gli obiettivi specifici?
  Per prima cosa si punta a rafforzare e a consolidare la leadership industriale Europea, stimolando e rafforzando l’innovazione nelle Piccole e Medie Imprese (PMI) che rappresentano il 99,8% delle imprese in Europa. Per far questo si serve del suo secondo obiettivo, quello dello sviluppo tecnologico e scientifico, per raggiungere una posizione di eccellenza mondiale. Infine, H2020 stanzia per il suo ultimo scopo quasi un terzo del budget: le Sfide Sociali.

Cosa sono le Sfide Sociali?
  Le sfide individuate da Horizon 2020 sono sette.
  • Salute, cambiamento demografico, e benessere.
  • Controllo alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e bio-economia
  • Energia sicura, pulita ed efficiente
  • Trasporti smart ed ecologici
  • Interventi sul clima, efficienza delle risorse e materie prime
  • Società inclusive e innovative
  • Salvaguardia della sicurezza sociale


  Horizon 2020 è un vero e proprio concorso, e come ogni concorso ha dei criteri di valutazione. La commissione che valuterà le richieste, composta da esperti dei vari settori, ricercherà l’impatto, la qualità e l’ efficienza dell’attuazione. La partecipazione alle prime call di dicembre è stata soddisfacente. 16.000 proposte progettuali, di cui il tasso medio di successo si aggira in torno all’11%. Il 44% dei partecipanti sono imprese, di cui circa la metà PMI. La Spagna e l’Italia sono i paesi che hanno presentato più richieste e i temi più frequenti sono stati salute, alimentazione e cyber-security.


  Horizon2020, che è contenuto nella strategia decennale Europa2020, è il più grande progetto di ricerca dell’Unione Europea ed è anche uno dei più grandi a livello mondiale. Sono stati stanziati 17 milioni per la Leadership Industriale, per risollevare l’industria europea, concentrandosi sulle PMI. 24,4 miliardi riguardano l’Eccellenza Scientifica, che comprende anche la mobilitazione e la formazione di ricercatori (Azioni Marie Curie), 2,7 all’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT) e 1,6 all’Euratom. La fetta più cospicua, già citata sopra, è indirizzata verso le Sfide Sociali, che ricevono quasi 30 miliardi.


  Essendo un programma aperto a tutti i paesi membri dell’Unione Europea, e quindi a più di 500 milioni di persone, potrebbe sembrare irraggiungibile. Ma l’intenzione della Commissione Europea è di aiutare quelle idee che provengono da piccole realtà, che spesso rimangono embrionali per mancanza di mezzi. Per questo H2020 ha ridotto le formalità burocratiche e ha proposto un accesso più veloce e regole semplificate.

  Ci sono già alcune società che pubblicizzano e informano riguardo a questo programma, come l’Aster in Emilia Romagna. Ci sono, inoltre, tantissime idee e tantissimi progetti, tantissime aziende e imprese pronte a lavorare per vedere, finalmente, i loro risultati all’orizzonte.


Gabriele Bortolotti

martedì 14 ottobre 2014

Intervista al Ministro dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia, Hakubun Shimomura


Il 27 Agosto, durante un tirocinio in Giappone, l'associazione Ashinaga, presso la quale lavoravo, ha offerto la possibilità a tutti i tirocinanti di incontrare il Ministro dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia giapponese, Hakubun Shimomura. Il Ministro Shimamura, avendo perso il padre all'età di nove anni, è stato aiutato finanziariamente e psicologicamente da Ashinaga, che da quarant'anni offre aiuti per l'istruzione superiore e universitaria a ragazzi e ragazze orfani di uno o di entrambi i genitori.  
  Le domande e le risposte sono state tradotte istantaneamente dall'inglese al giapponese e viceversa, e io ve le propongo qui sotto in italiano. 

- In Giappone le università più prestigiose sono private e quindi molto costose, quindi inaccessibili agli studenti con peggiori possibilità economiche. Come si può intervenire per migliorare quelle pubbliche e per aumentare l’accesso a quelle private?

  Io faccio parte della prima generazione aiutata da Ashinaga, e come la maggior parte dei ragazzi che ricevono aiuti da questa associazione, sono cresciuto in una famiglia senza padre. La mia famiglia era molto povera e per me sarebbe stato impossibile avere accesso ad un’università. In Giappone l’istruzione è gratis fino alle scuole medie, dopodiché solo chi può permetterselo continua. Quello che sto cercando di introdurre, dal 2013, è una politica che permetta agli studenti più meritevoli di non dover rinunciare a un’educazione superiore a causa delle loro condizioni meno fortunate.

In Europa molto spesso l’università è, o era tempo fa, quasi gratuita. Ma in seguito alla situazione finanziaria corrente questi prezzi stanno aumentando. Quello che cerchiamo di fare noi è l’opposto, ovvero ridurre gradualmente i costi universitari. Un’altra cosa che è tra le nostre priorità è il sistema di valutazione utilizzato, sia per quanto riguarda l’accesso, sia per gli esami. Questo sistema premia la capacità di memorizzare ciò che c’è scritto nel libro di testo, ma abbiamo bisogno di più dinamicità. Ci sono conoscenze che non si possono apprendere tra le righe di libri. Abbiamo bisogno di un sistema valutativo nel quale risulti l’impegno, le attività extra-accademiche, già a partire dalle scuole superiori. L’industria e la società giapponese sono in continuo movimento e necessitano di studenti pronti a tuffarsi, capaci di gestire imprevisti e responsabilità. Non è possibile avere queste potenzialità da chi sa solo memorizzare. Questo è ciò che cambieremo.

- Quali sono stati gli ostacoli più difficili che le si sono presentati perdendo il padre? Come le ha superati?

  Ho perso mio padre in seguito a un incidente stradale quando avevo nove anni. La mia famiglia ha vissuto, oltre a un terribile dolore, anche un impoverimento graduale. Mio padre era una persona molto rispettata nella zona in cui vivevamo, ma quando è morto ci hanno tutti voltato le spalle. Sono tutti diventati più freddi, hanno smesso di essere gentili con noi. Questo mi ha fatto capire come la
società possa essere crudele, e come sia difficile cercare di vivere una vita normale.
In Giappone, come ho già detto, l’istruzione è gratuita fino alle scuole medie, dopodiché se vuoi continuare, devi iniziare a pagare. Sono stato ad un passo dal rinunciare al liceo per iniziare a lavorare, ma fortunatamente mi si è presentata un’occasione dall’associazione Ashinaga, che mi ha concesso di proseguire i miei studi. Per raccogliere fondi abbiamo dovuto spendere molti pomeriggi nelle zone più frequentate di Tokyo in cerca di piccole donazioni. Ciò che mi faceva riflettere, mentre giravo con la cassetta in mano, è che ci sono persone che non hai mai visto e con cui non hai nessun contatto, che però sono abbastanza gentili da venire a darti qualche soldo. Per questo ho iniziato a voler restituire alla società quello che gentilmente lei stava dando a me. Quando sei là fuori a fare queste campagne di autofinanziamento per qualcun altro, non c’è ulterior pena alla pazienza necessaria. Ma quando invece sei lì per te stesso lo stess psicologico che ti accompagna, è immenso. Quello che auguro alle prossime generazioni di ragazzi aiutati da Ashinaga, è di non dover partecipare direttamente a queste campagne di raccolta fondi. Questo è ciò che mi ha permesso di inseguire il desiderio di diventare un politico. In particolare di diventare il ministro dell’educazione. E ora sono qui, sulla poltrona del Ministro dell’Educazione, Cultura, Sport e Tecnologia, ma non dimenticate che sono qui solo da due anni, quindi ho ancora tantissimi sogni e piani per quelli a venire.

- Ha parlato di Ashinaga e della borsa di studio che offre. È un sistema che prevede un prestito dei fondi necessari alle spese scolastiche e universitarie, da restituire frazionato e senza interessi. Sarebbe possibile ampliare con l’aiuto del governo il numero di finanziamenti veri, che non debbano tornare nelle casse dello stato?


  Sono pienamente d’accordo. In Giappone non ci sono abbastanza finanziamenti a disposizione di chi non può permettersi un’istruzione adeguata. Nella maggior parte dei casi si tratta di prestiti a lungo termine. Questo è una questione che va senza dubbio risolta. Ma per aumentare i finanziamenti c’è bisogno di un’enorme quantità di denaro. Quello che abbiamo in mente di fare è un piano che ha già avuto successo in Australia, dove un altissimo numero di diplomati continua gli studi. La ragione per cui l’Australia ha un tasso così alto è grazie a un sistema legato al futuro salario, e ben l’80% degli studenti in Australia stanno sfruttando questa possibilità. Appena gli studenti si laureano cercheranno un lavoro, e, appena assunti, inizieranno a ripagare proporzionalmente i fondi ricevuti in base al loro salario.

Stiamo cercando di introdurre qualcosa di simile, stiamo pensando a una soglia minima di salario, che se non superata, ti consentirà di non dover restituire i soldi prestati. Chi supera la soglia dovrà pagare una somma che è superiore al finanziamento ricevuto, cosi da aiutare chi non può permettersi questa spesa.

- La ripartizione dei fondi tra le scuole/università pubbliche e quelle private è una questione delicata per ogni ministero dell’Educazione. Come si colloca il Giappone sotto questo punto di vista?


  In Giappone, come in molti altri stati, il numero d’istituti privati sta crescendo. Questo avviene perché c’è più richiesta, da parte di chi può permetterselo, di un’educazione più attenta e con più mezzi d’insegnamento. Ma ci sono tanti genitori che non si possono neanche permettere di iscrivere i loro figli alle scuole superiori. Questo è un grande problema per questo paese, e questo stiamo cercando di superare attraverso finanziamenti da parte del governo.


- Alcuni critici del sistema educativo giapponese accusano un mancato sviluppo di spirito critico nel corso delle scuole superiori. Cosa ne pensa di queste critiche?


  Sono d’accordo con queste critiche, ma questo è un problema che stiamo risolvendo in questo momento. Vogliamo un cambiamento che non si limiti alle superiori, ma parta dalle elementari. Quello che succede ora è che il professore scrive sulla lavagna e gli studenti copiano. Questo è lo standard che registriamo, uno standard che ha tanti limiti.

Il cambiamento che stiamo portando, già in funzione in alcune scuole, è l’introduzione di ore di dibattito, che hanno cambiato drasticamente il modo di insegnare. Si può notare un miglioramento nell’elaborazione e nell’esposizione dei ragazzi che vi partecipano. È, inoltre, un modo per far conoscere le loro opinioni, per insegnarli a non tenerle dentro. Tutto ciò senza valutazione né influenza nei voti degli studenti, così da evitare esitazioni. Non c’è giusto o sbagliato in questo programma, ci sono solo opinioni, che vogliamo vengano condivise.
Ma ora vorrei fare io una domanda. Avete già un’esperienza d’insegnamento in Giappone, cosa ne pensate degli studenti giapponesi?

Studiando alla Waseda University ho notato che i ragazzi sono molto riservati ed esitano nel parlare di questioni delicate, a meno che non siano iscritti al dipartimento internazionale. Ha, il Ministero dell’Educazione, preso in considerazione questo fattore? Pensa che ne valga la pena di incentivare uno studio più internazionale?


  La globalizzazione sta sempre più raggiungendo il Giappone, e questo può senza dubbio aiutare. Ma non vogliamo dividere le università in più dipartimenti. Quello su cui stiamo lavorando è un progetto di “Global University”, partendo da trenta istituti che riceveranno finanziamenti aggiuntivi. Tutti gli studenti dovranno sviluppare conoscenze di altre lingue ed essere pronti per un eventuale studio all’estero.

- Altre fonti hanno criticato libri di testo di Storia adottati, giudicandoli non del tutto oggettivi e accurati. Pensa che la selezione dei manuali possa influire sulla visione politica dei cittadini giapponesi? Sta pensando a un rinnovo anche in questo settore?

  Vorrei subito mettere in chiaro che non esiste una storia oggettiva. La storia è interpretata da due punti di vista, quello dei vincitori e quello dei vinti. Quello che si può considerare oggettivo è solo il punto in cui le due versioni si toccano. Sarebbe impossibile scrivere una storia oggettiva della Seconda Guerra Mondiale, una versione accettata da tutti.
Quello che vorrei trasmettere a voi, che potreste essere i leader nei vostri rispettivi settori, è di conoscere e capire la storia degli stati con cui avrete a che fare. Ognuno avrà una prospettiva diversa degli eventi storici.
Dieci anni fa sono andato in Gran Bretagna per studiare la riforma Thatcher dell’educazione. Ho visto un libro di storia, precedente alla riforma, e sulla copertina c’era un letto di teschi con una bandiera britannica al centro. Il primo messaggio che ne ricavi è che la Gran Bretagna sia sorretta dalle morti e dalla guerra. In più, prima della riforma, la scelta del manuale era esclusivamente del professore. La storia si concentrava interamente su fatti negativi, catastrofi e guerre, mentre quelli positivi venivano dimenticati. Margaret Thatcher ha cambiato il modo di vedere la storia nel Regno Unito, dando spazio anche ai grandi eventi, passi avanti, entusiasmi.
La situazione attuale del Giappone assomiglia quella di quindici anni fa in Gran Bretagna. Ci concentriamo troppo sui fattori negativi, e con questo la priviamo del suo fascino. Questa è una questione che è nella nostra lista di cambiamenti fondamentali.

- Ha parlato di Gran Bretagna come un modello d’ispirazione. Un aspetto, di cui però è carente è l’Educazione per persone diversamente abili, in particolare con disabilità psichiatriche. Cosa ne pensa di questo tipo di educazione in Giappone?


  Prima di rispondere vorrei chiarire che non abbiamo intenzione di basare il nostro sistema educativo in conformità a quello inglese. La nostra intenzione è prendere spunto dai punti migliori delle riforme dell’educazione nel mondo. Ho già fatto l’esempio dell’Australia. Per collegarmi alla domanda, il sistema migliore, per quanto riguarda i portatori di handicap, è il sistema Olandese. Il numero dei diversamente abili sta aumentando e quello che vorrebbe fare il Giappone è puntare a una “normalizzazione”. Molto spesso sono educati in strutture separate, comportando un isolamento. Quello che intendiamo per 
normalizzazione” è la possibilità di scegliere se andare in una di queste strutture specializzate o se frequentare una scuola normale, con le dovute attenzioni.
In passato ho avuto l’occasione di visitare una scuola per diversamente abili e sono rimasto impressionato dai loro disegni. Quello che ho realizzato è che spesso questi ragazzi riescono ad immergersi completamente in quello che fanno, nella musica, del disegno. Il problema è che appena finiscono le superiori non hanno la possibilità di iscriversi all’università e sono costretti a lavorare solo in certe strutture. Una cosa con la quale sono pienamente d’accordo è che in Gran Bretagna, come in Olanda, queste disabilità non sono viste come un handicap ma come un’individualità. Quello di cui vogliamo essere sicuri è che queste persone possano avere le stesse possibilità di tutti. Sarebbe uno spreco rinunciare alle loro capacità. 


a cura di 
Gabriele Bortolotti

lunedì 15 settembre 2014

Interview with the European Commissioner for Education, Culture, Multilingualism and Youth, Androulla Vassiliou




1. As you are approaching the end of your office at the European Commission, what are the best goals you achieved and what do you think the next Commissioner for Education, Culture, Multilingualism and Youth should prioritize?

When I took office as Commissioner for Education, Culture, Multilingualism and Youth in February 2010, Europe was facing its deepest crisis since the 1930s. The European Commission's most urgent task was to stabilise the economy. We had to respond with new policies for growth and jobs – and this is what drove our work in my areas of responsibility. The Commission put education at the heart of its Europe 2020 strategy and set EU targets to reduce the number of early school leavers (to below 10%) and increase the number of young people completing higher education (to 40%). We are on track to achieve those targets.
In 2014 I launched Erasmus+, giving four million people the opportunity to study, train, teach and volunteer abroad between 2014 and 2020. With a budget of almost €15 billion – a 40% increase on previous levels – the programme makes a new commitment to young people. Erasmus+ will equip them with the skills they need for a world that is increasingly mobile and multicultural. By spending part of their studies or training in another country, young people learn a new language and a different way of thinking. They open their minds.
Erasmus+ supports all levels of education: early school leaving is a priority; Erasmus+ will share the best solutions across Europe. Poor reading skills are a serious problem; Erasmus+ will fund cross-border projects to improve them. Our learning of foreign languages is falling behind; Erasmus+ will help us catch up. It will support better use of ICT in education and help to modernise our vocational training systems, which too often fail our young people.
Erasmus+ will also help education to build partnerships with the world of work. 125,000 schools, youth groups, universities and enterprises will work together across Europe. 150 Knowledge Alliances will help 1,500 universities and businesses to develop new ways of learning, while 150 Sector Skills Alliances will bring together 2,000 training institutes and businesses. We also launched the European Alliance for Apprenticeships to fight youth unemployment.
I am proud that, over the past five years, we have made it easier to compare courses and qualifications, created new tools for measuring progress and transparency, and delivered strategies on early childhood education and care, early school leaving, vocational training, rethinking skills and open education resources. We paid special attention to literacy – one in five young Europeans suffers difficulties – through the Europe Loves Reading campaign.
We funded cross-border projects that promote national, regional and minority languages across Europe; one of the strategic goals of Erasmus+ is to improve the teaching and learning of languages and to promote the Union's linguistic diversity.
Universities want to attract the best talent but we want to make this a race to the top, so that every young person has a fair chance to succeed. Our High-Level Group on the Modernisation of Higher Education published recommendations underlining the importance of quality and the continuous improvement of teaching. We also launched a strategy for the internationalisation of European higher education, with the aim of making Europe an attractive place to study while preparing students for a globalising job market.
I am also pleased that we succeeded in putting in place a new strategy, with much-increased funding, that will allow the European Institute of Innovation and Technology (EIT) to move up to a new level. The EIT is a ground-breaking project that is changing the way we think about innovation. The Institute created three cross-border partnerships between higher education and business to work on climate change, energy efficiency and ICT. These knowledge and innovation communities (KICs) helped to launch more than 100 start-ups and trained more than 1,000 students on postgraduate courses combining scientific excellence and coaching for the entrepreneurs of tomorrow.
With a budget of €2.7 billion for 2014-20, the EIT will be able to expand and fulfil its potential. It will launch five new KICs while developing the existing three. Two of the new KICs will appear at the end of 2014, tackling the challenges of healthy ageing and raw materials; two more will be selected in 2016 to work on food supply and manufacturing, and another in 2018 on urban mobility.
To complete our work in higher education, the Marie Skłodowska-Curie Actions are making Europe an attractive place to do research. With a budget of more than €6 billion for 2014-20 – an increase of 30% – we can help 65,000 researchers to develop their careers.
The crisis has not only driven unemployment to chronic levels; it has also raised questions about the place of young people in society. This Commission has given youth organisations a new role in policy-making. We launched a structured dialogue, bringing together youth organisations, non-organised youth and policy-makers. The dialogue makes a difference: young people brought their priorities to the Council of the EU and their proposals led to initiatives such as the Youth Guarantee.
Creative Europe
Over the past five years, we also changed the way we see our cultural and creative industries. We have managed to strike a balance between the intrinsic value of culture and its contribution to our identity, along with culture's economic role and ability to create new jobs. Europe’s artists, creators, designers and cultural leaders account for nearly 4.5% of the European Union’s output and provide jobs to over eight million people. This Commission proposed the first-ever comprehensive strategy for the European cultural and creative sectors, backing them with new funding.
In January this year we launched the Creative Europe programme with an increased budget of almost €1.5 billion. The programme will support 250,000 European artists, 2,000 cinemas, 800 films and 4,500 book translations. It will enable our cultural and creative sectors to strengthen their international competitiveness, while sustaining diversity.
Supporting the new creative economy goes hand-in-hand with a celebration of cultural heritage. Our new European Heritage Label puts the spotlight on places that embody our shared European history, educating future generations and enriching cultural tourism. And we have renewed the European Capitals of Culture, helping to brand our cities and regions through culture and stimulating investment.
This Commission also increased support to the audiovisual industry through the MEDIA arm of Creative Europe. We will help the distribution of European film and encourage co-productions, fund training and support independent cinemas. We made the case for the cultural exception in international trade, and reformed the state-aid rules for cinema.
Europe's 'soft power' in the 21st century is less about projecting a single cultural vision of Europe than about bringing our values to the global stage and engaging our partners in debate. We commissioned a major report on the role of culture in the EU's external relations, which will guide our action in the years to come. In this spirit we launched a High-Level People-to-People Dialogue with China to help develop a deeper mutual understanding between our peoples.
Under my leadership, this Commission also opened up sport as a new policy area. We focused on three priorities: the integrity of sport, its economic aspects and its social role. For the first time, grassroots sport will receive funding from the Union's budget. Erasmus+ will help to maximise the impact of sport for health, social inclusion and gender equality. It will also tackle cross-border threats such as doping and match-fixing. We created a European Week of Sport, which will take place for the first time in 2015 and highlight the value of physical activity for health and the economy.
As the European Union searches for a new narrative, education and culture provide some of the answers. In all that we do, we are working for a Europe that learns to live together. I am proud of my role in helping to promote a Europe that is open among its neighbours and open to the world. A Europe that sees diversity not as a threat, but a strength.
I hope my successor is able to build on what we have achieved in the past five years and to continue to ensure that education and culture remain a priority in EU policy. It is crucial that we do everything possible to support the skills and employability of young people – and to maximise the capacity of the creative sectors to contribute to future jobs and growth.


2. What do you think about starting a new long-term project that adds education about European Citizenship and what you can do with it from the very first levels of school?

This idea flows in the same direction of our current work of contributing to the development of pedagogies and practices which respond to modern needs. Thanks to the development of basic skills and key competences (the key competences identified by the European Union include social and civic competences) active citizenship will be strengthened. Skills should be acquired by everyone, regardless of their age. Civic competence, particularly knowledge of social and political concepts (democracy, justice, equality, citizenship and civil rights) equips individuals to fully engage in active and democratic participation.
Citizenship education is therefore a necessary part of modern education. This is why the Commission supports Member States in putting in place better and more effective teaching and learning methods to foster the development of the concept.
As a European Commissioner, I believe that a special focus on the European aspect of citizenship is key for the future of the European Union.


3. The level of foreign language competence is very different among Member States. How do you think the less prepared countries can reach the level of the others?

Language competences are the result of language learning at school, although other factors count too. To improve the proficiency, Member States need to make language learning a priority. The Commission cannot take direct action on this as education is a national competence. We do, however, support and coordinate national language policies, for example by facilitating the exchange of good practice. We use what is called the 'open method of coordination': national working groups meet regularly in Brussels and elsewhere to exchange ideas. We also make proposals to the Member States to adopt common goals in order to stimulate progress.
Language learning is a key element in our education programmes and was reinforced in Erasmus+, the new European Union programme for education, training, youth and sport for 2014-2020. This programme will contribute to improving the quality of language learning and to make better use of new technologies in giving more people access to language learning. Indirectly, it also encourages language learning by funding mobility for students, trainees, apprentices, teachers and volunteers. This contributes to gradually closing the gap between the more advanced and less linguistically successful countries.


4. About 16 billion euros are designated for Erasmus+ : do you think it is possible to rescue Europe from its economic crisis by 'betting on youth'? If so, how?

Erasmus+ is designed to respond to the challenges Europe faces today with almost 6 million young people unemployed and levels above 50% in some countries. At the same time, paradoxically, there are over 2 million vacancies in Europe, and 36% of employers report difficulties in recruiting staff with the skills they need. This is a tremendous lost social and economic opportunity. An important part of the solution is to increase investment in formal and non-formal education and training in order to modernise and improve education, training and youth systems to provide young people with the skills and competences they need in today's world.
Erasmus+ with its Europe-wide budget of almost €15 billion – plus an additional €1.7 billion for international cooperation ‑ will provide grants for millions of people to study, train, teach or volunteer abroad (see Q1).
The benefits which mobility brings for individuals, such as improving their prospects of finding a job, developing their foreign language skills and increasing their adaptability, will have an impact on the EU economy as a whole.
The evidence shows that young people with higher levels of qualifications experience lower levels of unemployment (the unemployment rate among higher education graduates in the EU working age population is 6.2% compared with 9.7% for those with only upper secondary qualifications). However getting a job is not just about having the right diploma. Employers increasingly look for soft skills acquired outside school and university, including, for example, through volunteering.
As well as increasing opportunities for mobility, Erasmus+ launches various new initiatives, including a loan guarantee facility for Masters' level students, following a full course abroad.
By strengthening the European Voluntary Service, transnational youth exchanges and the mobility of youth workers, Erasmus+ will also promote active citizenship and the participation of young people in democratic life in Europe.


5. Italy, like the rest of Europe, benefits from a priceless artistic and cultural heritage. How can we make a better resource out of it? What do you think about Pompei’s situation?

I agree that our artistic and cultural heritage is priceless. It is a major factor in defining Europe's identity in the world and its attractiveness as a place to live, work and visit. I also agree that we can and should make a better resource out of our heritage. In July I published a policy paper inviting governments and civil society to work together to maximise the value of cultural heritage, and its contribution to jobs, growth and social inclusion.
I am pleased that there are more opportunities for young people – and all audiences - to engage with heritage through digitisation, online access to collections, and e-learning. It is important to involve local communities in the protection and management of heritage sites. And we need to promote new and traditional heritage skills and training, to create more apprenticeships and job opportunities in the sector.
Pompei is one of the most important archaeological sites in the world and a showpiece of European cultural heritage.  The EU is working with Italy on its conservation; we have provided €78 million out of a combined investment of €105 million through the European Regional Development Fund. On 17 July, my colleague Commissioner Hahn travelled to Pompei to sign an Action Plan to accelerate preservation work on the site. The work is managed by the Italian authorities.



Interview by 
Gabriele Bortolotti