Giovani Europeisti

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mercoledì 7 gennaio 2015

Je Suis Charlie Hebdo: sulla fune di uno scontro





“Allahu Akbar, Allahu Akbar”. Poi nessun altro spazio per le parole. Parole uccise, vendicate, interrotte da proiettili. Le munizioni finiscono, mentre la voce, in risposta a quei colpi, ha già l’eco nelle piazze d’Europa.

Voce contro silenzio, fucile contro matita. Due armi di battaglie diverse che pretendono di subordinarsi l’un l’altro. Ma i proiettili non fermeranno l’inchiostro e, possiamo dirlo, le critiche non bloccheranno le uccisioni.

Dodici vittime, martiri involontari della libertà di stampa. Tre lupi solitari, che però fanno parte di un branco e ne difendono la reputazione. Proprio come lupi attaccano, senza pietà, quasi istintivamente, chi li minaccia. E chi sta a guardare, giudice, lancia l’allarme contro tutti i cani.

Chi è il responsabile? Cosa c’è dietro? Domande le cui risposte sembrano apparentemente semplici, ma, anche oggi, abbiamo capito che non è così. Pretendiamo di conoscere il terrorismo islamico, scriviamo libri e servizi come se lo facessimo dal suo interno. Ma da entrambe le parti c’è solo paura. C’è paura tra gli estremisti islamici, che temono che l’occidente gli cancelli le loro tradizioni; c’è paura in occidente, dove si teme che a essere cancellata sia la sua integrità. Da entrambe le parti poche parole e tanta violenza.

In questi momenti non bisogna dire “han tutti torto” ma neanche “è colpa nostra”. In questi momenti sarebbe necessario non reagire d’istinto, perché per restare in equilibrio, la mossa di un estremo sarà pari alla mossa dell’altro, e non possiamo più permetterci di oscillare cosi tanto. Sulla fune devi guardare avanti e pensare al prossimo passo, se no si cade.

I musulmani in Europa sono più di 56 milioni, come la popolazione italiana negli anni 90’. Se attaccassimo tutti loro sarebbe come automutilarsi, oltre a essere stupido, è anche doloroso.

“Parlavano perfettamente francese” dice il vignettista Coco, testimone dell’attacco. Ora i due attentatori, che polizia ritiene siano fratelli, portano la gloria di aver difeso il loro profeta, una gloria così facile. Perché è questo il rischio. Il terrorismo islamico è un movimento “in franchising” dove, con un investimento iniziale di coraggio, puoi crearti la tua rivincita in nome del tuo gruppo religioso. Lo abbiamo visto a Sidney, poi nella sede del Parlamento canadese a Ottawa e l’abbiamo visto anche ieri a Parigi.

L’Europa si ritrova colpita, ma non sia così cieca da istigare alla caccia del nemico interno. I partiti di estrema destra sfrutteranno la paura, senza capire che questa è la vera ragione dello scontro.

La soluzione? Pretendere di averla sarebbe ipocrita, ma la violenza terminerà solo quando i terroristi non rappresenteranno più nessuno. Quando non gli sarà dimostrata la legittimità che rivendicano. Questo deve avvenire all’interno del popolo islamico, che dovrà condannare queste violenze come se fossero a loro dirette. Gridare “Not in my name”, come fa la scrittrice italosomala Igiaba Scego. Quando capiranno che l’Islam non è sangue, in quel momento potranno veramente urlare Allahu Akbar”.


Gabriele Bortolotti

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