“Allahu
Akbar, Allahu Akbar”. Poi nessun altro spazio per le parole. Parole uccise,
vendicate, interrotte da proiettili. Le munizioni finiscono, mentre la voce, in
risposta a quei colpi, ha già l’eco nelle piazze d’Europa.
Voce
contro silenzio, fucile contro matita. Due armi di battaglie diverse che pretendono
di subordinarsi l’un l’altro. Ma i proiettili non fermeranno l’inchiostro e,
possiamo dirlo, le critiche non bloccheranno le uccisioni.
Dodici
vittime, martiri involontari della libertà di stampa. Tre lupi solitari, che
però fanno parte di un branco e ne difendono la reputazione. Proprio come lupi
attaccano, senza pietà, quasi istintivamente, chi li minaccia. E chi sta a
guardare, giudice, lancia l’allarme contro tutti i cani.
Chi
è il responsabile? Cosa c’è dietro? Domande le cui risposte sembrano
apparentemente semplici, ma, anche oggi, abbiamo capito che non è così. Pretendiamo
di conoscere il terrorismo islamico, scriviamo libri e servizi come se lo
facessimo dal suo interno. Ma da entrambe le parti c’è solo paura. C’è paura tra
gli estremisti islamici, che temono che l’occidente gli cancelli le loro
tradizioni; c’è paura in occidente, dove si teme che a essere cancellata sia la
sua integrità. Da entrambe le parti poche parole e tanta violenza.
In
questi momenti non bisogna dire “han tutti torto” ma neanche “è colpa nostra”.
In questi momenti sarebbe necessario non reagire d’istinto, perché per restare
in equilibrio, la mossa di un estremo sarà pari alla mossa dell’altro, e non
possiamo più permetterci di oscillare cosi tanto. Sulla fune devi guardare
avanti e pensare al prossimo passo, se no si cade.
I
musulmani in Europa sono più di 56 milioni, come la popolazione italiana negli
anni 90’. Se attaccassimo tutti loro sarebbe come automutilarsi, oltre a essere
stupido, è anche doloroso.
“Parlavano
perfettamente francese” dice il vignettista Coco, testimone dell’attacco. Ora i
due attentatori, che polizia ritiene siano fratelli, portano la gloria di aver
difeso il loro profeta, una gloria così facile. Perché è questo il rischio. Il
terrorismo islamico è un movimento “in franchising” dove, con un investimento
iniziale di coraggio, puoi crearti la tua rivincita in nome del tuo gruppo
religioso. Lo abbiamo visto a Sidney, poi nella sede del Parlamento canadese a
Ottawa e l’abbiamo visto anche ieri a Parigi.
L’Europa
si ritrova colpita, ma non sia così cieca da istigare alla caccia del nemico
interno. I partiti di estrema destra sfrutteranno la paura, senza capire che
questa è la vera ragione dello scontro.
La
soluzione? Pretendere di averla sarebbe ipocrita, ma la violenza terminerà solo
quando i terroristi non rappresenteranno più nessuno. Quando non gli sarà
dimostrata la legittimità che rivendicano. Questo deve avvenire all’interno del
popolo islamico, che dovrà condannare queste violenze come se fossero a loro
dirette. Gridare “Not in my name”,
come fa la scrittrice italosomala Igiaba
Scego. Quando capiranno che l’Islam non è sangue, in quel momento potranno
veramente urlare “Allahu Akbar”.
Gabriele Bortolotti
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