Giovani Europeisti

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martedì 14 ottobre 2014

Intervista al Ministro dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia, Hakubun Shimomura


Il 27 Agosto, durante un tirocinio in Giappone, l'associazione Ashinaga, presso la quale lavoravo, ha offerto la possibilità a tutti i tirocinanti di incontrare il Ministro dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia giapponese, Hakubun Shimomura. Il Ministro Shimamura, avendo perso il padre all'età di nove anni, è stato aiutato finanziariamente e psicologicamente da Ashinaga, che da quarant'anni offre aiuti per l'istruzione superiore e universitaria a ragazzi e ragazze orfani di uno o di entrambi i genitori.  
  Le domande e le risposte sono state tradotte istantaneamente dall'inglese al giapponese e viceversa, e io ve le propongo qui sotto in italiano. 

- In Giappone le università più prestigiose sono private e quindi molto costose, quindi inaccessibili agli studenti con peggiori possibilità economiche. Come si può intervenire per migliorare quelle pubbliche e per aumentare l’accesso a quelle private?

  Io faccio parte della prima generazione aiutata da Ashinaga, e come la maggior parte dei ragazzi che ricevono aiuti da questa associazione, sono cresciuto in una famiglia senza padre. La mia famiglia era molto povera e per me sarebbe stato impossibile avere accesso ad un’università. In Giappone l’istruzione è gratis fino alle scuole medie, dopodiché solo chi può permetterselo continua. Quello che sto cercando di introdurre, dal 2013, è una politica che permetta agli studenti più meritevoli di non dover rinunciare a un’educazione superiore a causa delle loro condizioni meno fortunate.

In Europa molto spesso l’università è, o era tempo fa, quasi gratuita. Ma in seguito alla situazione finanziaria corrente questi prezzi stanno aumentando. Quello che cerchiamo di fare noi è l’opposto, ovvero ridurre gradualmente i costi universitari. Un’altra cosa che è tra le nostre priorità è il sistema di valutazione utilizzato, sia per quanto riguarda l’accesso, sia per gli esami. Questo sistema premia la capacità di memorizzare ciò che c’è scritto nel libro di testo, ma abbiamo bisogno di più dinamicità. Ci sono conoscenze che non si possono apprendere tra le righe di libri. Abbiamo bisogno di un sistema valutativo nel quale risulti l’impegno, le attività extra-accademiche, già a partire dalle scuole superiori. L’industria e la società giapponese sono in continuo movimento e necessitano di studenti pronti a tuffarsi, capaci di gestire imprevisti e responsabilità. Non è possibile avere queste potenzialità da chi sa solo memorizzare. Questo è ciò che cambieremo.

- Quali sono stati gli ostacoli più difficili che le si sono presentati perdendo il padre? Come le ha superati?

  Ho perso mio padre in seguito a un incidente stradale quando avevo nove anni. La mia famiglia ha vissuto, oltre a un terribile dolore, anche un impoverimento graduale. Mio padre era una persona molto rispettata nella zona in cui vivevamo, ma quando è morto ci hanno tutti voltato le spalle. Sono tutti diventati più freddi, hanno smesso di essere gentili con noi. Questo mi ha fatto capire come la
società possa essere crudele, e come sia difficile cercare di vivere una vita normale.
In Giappone, come ho già detto, l’istruzione è gratuita fino alle scuole medie, dopodiché se vuoi continuare, devi iniziare a pagare. Sono stato ad un passo dal rinunciare al liceo per iniziare a lavorare, ma fortunatamente mi si è presentata un’occasione dall’associazione Ashinaga, che mi ha concesso di proseguire i miei studi. Per raccogliere fondi abbiamo dovuto spendere molti pomeriggi nelle zone più frequentate di Tokyo in cerca di piccole donazioni. Ciò che mi faceva riflettere, mentre giravo con la cassetta in mano, è che ci sono persone che non hai mai visto e con cui non hai nessun contatto, che però sono abbastanza gentili da venire a darti qualche soldo. Per questo ho iniziato a voler restituire alla società quello che gentilmente lei stava dando a me. Quando sei là fuori a fare queste campagne di autofinanziamento per qualcun altro, non c’è ulterior pena alla pazienza necessaria. Ma quando invece sei lì per te stesso lo stess psicologico che ti accompagna, è immenso. Quello che auguro alle prossime generazioni di ragazzi aiutati da Ashinaga, è di non dover partecipare direttamente a queste campagne di raccolta fondi. Questo è ciò che mi ha permesso di inseguire il desiderio di diventare un politico. In particolare di diventare il ministro dell’educazione. E ora sono qui, sulla poltrona del Ministro dell’Educazione, Cultura, Sport e Tecnologia, ma non dimenticate che sono qui solo da due anni, quindi ho ancora tantissimi sogni e piani per quelli a venire.

- Ha parlato di Ashinaga e della borsa di studio che offre. È un sistema che prevede un prestito dei fondi necessari alle spese scolastiche e universitarie, da restituire frazionato e senza interessi. Sarebbe possibile ampliare con l’aiuto del governo il numero di finanziamenti veri, che non debbano tornare nelle casse dello stato?


  Sono pienamente d’accordo. In Giappone non ci sono abbastanza finanziamenti a disposizione di chi non può permettersi un’istruzione adeguata. Nella maggior parte dei casi si tratta di prestiti a lungo termine. Questo è una questione che va senza dubbio risolta. Ma per aumentare i finanziamenti c’è bisogno di un’enorme quantità di denaro. Quello che abbiamo in mente di fare è un piano che ha già avuto successo in Australia, dove un altissimo numero di diplomati continua gli studi. La ragione per cui l’Australia ha un tasso così alto è grazie a un sistema legato al futuro salario, e ben l’80% degli studenti in Australia stanno sfruttando questa possibilità. Appena gli studenti si laureano cercheranno un lavoro, e, appena assunti, inizieranno a ripagare proporzionalmente i fondi ricevuti in base al loro salario.

Stiamo cercando di introdurre qualcosa di simile, stiamo pensando a una soglia minima di salario, che se non superata, ti consentirà di non dover restituire i soldi prestati. Chi supera la soglia dovrà pagare una somma che è superiore al finanziamento ricevuto, cosi da aiutare chi non può permettersi questa spesa.

- La ripartizione dei fondi tra le scuole/università pubbliche e quelle private è una questione delicata per ogni ministero dell’Educazione. Come si colloca il Giappone sotto questo punto di vista?


  In Giappone, come in molti altri stati, il numero d’istituti privati sta crescendo. Questo avviene perché c’è più richiesta, da parte di chi può permetterselo, di un’educazione più attenta e con più mezzi d’insegnamento. Ma ci sono tanti genitori che non si possono neanche permettere di iscrivere i loro figli alle scuole superiori. Questo è un grande problema per questo paese, e questo stiamo cercando di superare attraverso finanziamenti da parte del governo.


- Alcuni critici del sistema educativo giapponese accusano un mancato sviluppo di spirito critico nel corso delle scuole superiori. Cosa ne pensa di queste critiche?


  Sono d’accordo con queste critiche, ma questo è un problema che stiamo risolvendo in questo momento. Vogliamo un cambiamento che non si limiti alle superiori, ma parta dalle elementari. Quello che succede ora è che il professore scrive sulla lavagna e gli studenti copiano. Questo è lo standard che registriamo, uno standard che ha tanti limiti.

Il cambiamento che stiamo portando, già in funzione in alcune scuole, è l’introduzione di ore di dibattito, che hanno cambiato drasticamente il modo di insegnare. Si può notare un miglioramento nell’elaborazione e nell’esposizione dei ragazzi che vi partecipano. È, inoltre, un modo per far conoscere le loro opinioni, per insegnarli a non tenerle dentro. Tutto ciò senza valutazione né influenza nei voti degli studenti, così da evitare esitazioni. Non c’è giusto o sbagliato in questo programma, ci sono solo opinioni, che vogliamo vengano condivise.
Ma ora vorrei fare io una domanda. Avete già un’esperienza d’insegnamento in Giappone, cosa ne pensate degli studenti giapponesi?

Studiando alla Waseda University ho notato che i ragazzi sono molto riservati ed esitano nel parlare di questioni delicate, a meno che non siano iscritti al dipartimento internazionale. Ha, il Ministero dell’Educazione, preso in considerazione questo fattore? Pensa che ne valga la pena di incentivare uno studio più internazionale?


  La globalizzazione sta sempre più raggiungendo il Giappone, e questo può senza dubbio aiutare. Ma non vogliamo dividere le università in più dipartimenti. Quello su cui stiamo lavorando è un progetto di “Global University”, partendo da trenta istituti che riceveranno finanziamenti aggiuntivi. Tutti gli studenti dovranno sviluppare conoscenze di altre lingue ed essere pronti per un eventuale studio all’estero.

- Altre fonti hanno criticato libri di testo di Storia adottati, giudicandoli non del tutto oggettivi e accurati. Pensa che la selezione dei manuali possa influire sulla visione politica dei cittadini giapponesi? Sta pensando a un rinnovo anche in questo settore?

  Vorrei subito mettere in chiaro che non esiste una storia oggettiva. La storia è interpretata da due punti di vista, quello dei vincitori e quello dei vinti. Quello che si può considerare oggettivo è solo il punto in cui le due versioni si toccano. Sarebbe impossibile scrivere una storia oggettiva della Seconda Guerra Mondiale, una versione accettata da tutti.
Quello che vorrei trasmettere a voi, che potreste essere i leader nei vostri rispettivi settori, è di conoscere e capire la storia degli stati con cui avrete a che fare. Ognuno avrà una prospettiva diversa degli eventi storici.
Dieci anni fa sono andato in Gran Bretagna per studiare la riforma Thatcher dell’educazione. Ho visto un libro di storia, precedente alla riforma, e sulla copertina c’era un letto di teschi con una bandiera britannica al centro. Il primo messaggio che ne ricavi è che la Gran Bretagna sia sorretta dalle morti e dalla guerra. In più, prima della riforma, la scelta del manuale era esclusivamente del professore. La storia si concentrava interamente su fatti negativi, catastrofi e guerre, mentre quelli positivi venivano dimenticati. Margaret Thatcher ha cambiato il modo di vedere la storia nel Regno Unito, dando spazio anche ai grandi eventi, passi avanti, entusiasmi.
La situazione attuale del Giappone assomiglia quella di quindici anni fa in Gran Bretagna. Ci concentriamo troppo sui fattori negativi, e con questo la priviamo del suo fascino. Questa è una questione che è nella nostra lista di cambiamenti fondamentali.

- Ha parlato di Gran Bretagna come un modello d’ispirazione. Un aspetto, di cui però è carente è l’Educazione per persone diversamente abili, in particolare con disabilità psichiatriche. Cosa ne pensa di questo tipo di educazione in Giappone?


  Prima di rispondere vorrei chiarire che non abbiamo intenzione di basare il nostro sistema educativo in conformità a quello inglese. La nostra intenzione è prendere spunto dai punti migliori delle riforme dell’educazione nel mondo. Ho già fatto l’esempio dell’Australia. Per collegarmi alla domanda, il sistema migliore, per quanto riguarda i portatori di handicap, è il sistema Olandese. Il numero dei diversamente abili sta aumentando e quello che vorrebbe fare il Giappone è puntare a una “normalizzazione”. Molto spesso sono educati in strutture separate, comportando un isolamento. Quello che intendiamo per 
normalizzazione” è la possibilità di scegliere se andare in una di queste strutture specializzate o se frequentare una scuola normale, con le dovute attenzioni.
In passato ho avuto l’occasione di visitare una scuola per diversamente abili e sono rimasto impressionato dai loro disegni. Quello che ho realizzato è che spesso questi ragazzi riescono ad immergersi completamente in quello che fanno, nella musica, del disegno. Il problema è che appena finiscono le superiori non hanno la possibilità di iscriversi all’università e sono costretti a lavorare solo in certe strutture. Una cosa con la quale sono pienamente d’accordo è che in Gran Bretagna, come in Olanda, queste disabilità non sono viste come un handicap ma come un’individualità. Quello di cui vogliamo essere sicuri è che queste persone possano avere le stesse possibilità di tutti. Sarebbe uno spreco rinunciare alle loro capacità. 


a cura di 
Gabriele Bortolotti

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