Giovani Europeisti

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martedì 1 luglio 2014

Investire nella Banca Europea degli Investimenti (BEI)


Investimenti - Il nuovo regime fiscale per le transazioni finanziarie è destinato a portare un certo scompiglio fra i risparmiatori. Ma una soluzione ragionevole per collocare i propri risparmi è la Banca europea degli investimenti, a cui il nuovo corso della politica europea promette di dare nei prossimi anni un ruolo centrale.


La rivoluzione fiscale che sta interessando in Italia gli investimenti finanziari farà perdere ai risparmiatori qualche notte di sonno, ma potrebbe anche essere l’occasione per scoprire un’opzione che fino ad oggi è rimasta quasi sempre nell’ombra: la Banca europea degli investimenti.

Domani le aliquote sui profitti finanziari passeranno dal 20% al 26%. È un salto non da poco. Non voglio entrare qui nel merito del provvedimento. In linea generale, sembra ragionevole che la pressione fiscale vada a gravare maggiormente su un settore che dà reddito in cambio di nulla. Sembra altrettanto ragionevole che l’aumento non riguardi i titoli pubblici: un flusso addizionale di risparmio sarà così convogliato nelle mani della Stato, cioè della collettività. Se sono grandi riforme quelle che vogliamo, le riforme costano.

Ho parlato della BEI perché l’esenzione non riguarda soltanto i titoli di Stato italiani ma anche quelli “equiparati”, e tra questi le obbligazioni sovranazionali europee come, appunto, quelle emesse dalla BEI, per le quali l’aliquota resterà ferma al 12,5%. Che cos’è la BEI? È un’istituzione finanziaria dell’UE preposta agli investimenti per lo sviluppo nelle regioni più deboli, principalmente in Europa ma anche nel resto del mondo. Un ente virtuoso, quindi, che cerca di portare un po’ di acqua agli assetati. Il suo capitale è fornito (e i suoi prestiti sono garantiti) dai 28 Paesi dell’Unione. Fino ad oggi la sua attività è stata relativamente modesta, con circa 60 miliardi di impieghi a fronte di un capitale sottoscritto di 233 miliardi euro, di cui solo una piccola parte è stata finora versata. Ma pare che le cose stiano evolvendo.



La BEI è il tipo di opzione che gli investitori in cerca di guadagni facili sono soliti snobbare. Essendo un soggetto solido per definizione è più o meno sullo stesso piano dei titoli di Stato tedeschi, con i quali condivide una tripla AAA inossidabile. Promette sicurezza, prezzi alti e rendimenti bassi; dunque, poche emozioni. È interessante a questo riguardo notare che la fiducia degli investitori nei confronti dell’UE non ha fatto una piega neppure nei momenti di massima fibrillazione dei mercati, quando all’orizzonte degli eventi economici si profilavano possibilità prima inconcepibili come il fallimento della Grecia o della stessa Italia. Se ne può trarre, volendo, una preziosa lezione politica. Ma non è questo lo spazio per farlo.

Non a caso i titoli BEI hanno conosciuto un momento di gloria fra il 2011 e il 2012, quando una quantità di investitori in cerca di approdi sicuri corse a rifugiarsi sotto le loro ali. Nei giorni in cui i Bunden sfondavano la soglia del rendimento negativo e la gente pagava per prestare soldi al Tesoro tedesco anche le obbligazioni BEI brillavano di una luce ferma e rassicurante. Chi nel dicembre 2011 ne avesse comprata una al 5,5% di interesse e con scadenza al 2018 avrebbe incamerato, pur scontando una minusvalenza pesante all’acquisto, una plusvalenza del 6% in meno di un anno, con l’opportunità di conseguire nel novembre del 2012 un profitto non disprezzabile senza correre – nota bene – il minimo rischio. E questo è qualcosa che nel mondo del trading si dà piuttosto raramente.

Ma a parte i momenti di panico, anche i risparmiatori più prudenti tendono in genere a trascurare la BEI, oscillando a seconda del momento fra prodotti sicuri ma un po’ più redditizi, come i titoli del debito italiano, e obbligazioni-cassaforte come i Bunden. In realtà la BEI viene spesso trascurata perché è poco conosciuta. Il risparmiatore non sa neppure che esiste e il consulente non la prende in considerazione e non la consiglia.

Tuttavia, come accennavo, il ruolo della BEI si appresta a diventare molto meno dimesso. Il vento della politica economica in Europa sta cambiando. L’idea di una spesa pubblica europea a sostegno della crescita non è più un tabù e l’opinione pubblica comincia ad accorgersi che gli addetti ai lavori usano sempre più spesso una parola fino ad oggi trascurata: la parola “piano”.

Nella misura in cui appare chiaro che le spompate finanze pubbliche dei suoi Stati membri sono incapaci di invertire il ciclo negativo dell’economia europea, è inevitabile che l’Unione europea si orienti verso un grande programma di investimenti pubblici nei settori strategici dell’economia. Il potenziale c’è tutto (ad esempio, l’UE ha molto meno debito degli USA e ha quindi ampio margine per indebitarsi e investire), si tratta solo di realizzarlo con un briciolo di iniziativa e lungimiranza. Per inciso, chi volesse contribuire ad accelerare il processo può firmare l’Iniziativa dei cittadini europei per un Piano europeo straordinario di sviluppo avviata nel marzo di quest’anno. L’iniziativa si chiama New Deal 4 Europe e il suo sito permette di firmare on line.

Dunque in Europa si comincia a parlare di investimenti pubblici, e sia il documento portato all’ultimo Consiglio europeo dal presidente Van Rompuy sia quello presentato dal governo italiano fanno un esplicito riferimento alla BEI come potenziale volano degli investimenti comunitari per i prossimi anni. Non deve stupire, dato che la BEI è l’unico organo dell’UE concepito allo scopo. Se davvero si vuole mettere in campo una strategia di investimenti per rimettere in moto l’economia europea la BEI è il primo e più ovvio strumento a cui si deve pensare. Basta potenziarne la capacità di intervento. Il suo capitale è stato aumentato nel 2012 e sono previste ulteriori capitalizzazioni. Sicché, sembra che le circostanze stiano candidando la BEI a diventare la protagonista dello sviluppo sul continente.

Questo cambiamento di tendenza sembra avere già cominciato a riflettersi sull’andamento dei suoi titoli, che da qualche mese stanno tornando ad apprezzarsi con una risolutezza che ricorda da vicino i convulsi mesi del 2012. In questo caso la tendenza avrebbe natura diversa. Allora la BEI aveva una funzione ansiolitica; oggi, più semplicemente, sta acquistando uno smalto inedito che deriva dal nuovo corso della politica europea. Se prendiamo a esempio il BEI al 3% con scadenza al 2022, il grafico del suo andamento negli ultimi 6 mesi è abbastanza eloquente:


Grafico BEI22


Dal momento che la tempesta finanziaria del 2012 è stata placata dall’intervento della BCE e non ci sono default pubblici in vista, la ragione di questo apprezzamento non dev’essere cercata nel panico di una massa critica di risparmiatori. Se la nostra analisi non pecca di eccessivo ottimismo la BEI sta diventando sempre più interessante per gli investitori che cercano impieghi solidi e remunerativi nel medio e lungo periodo. Il che del resto non esclude soddisfazioni nel breve, se la tendenza dovesse consolidarsi. 

Si tratta di una scommessa, com'è naturale, ma il senso c'è. La BEI offre già condizioni interessanti sotto diversi punti di vista. Chi presta soldi alla BEI mette i propri risparmi al sicuro, si associa a una realtà in (prevedibile) crescita, aiuta l’Europa a superare il pantano della crisi, si sottrae all’aumento della tassazione e, con un pizzico di fortuna, può ritrovarsi in mano un apprezzamento di svariati punti percentuali in un arco ridotto di tempo. Solido, promettente, virtuoso e redditizio: non si può chiedere molto di più a un investimento, a patto di non essere della specie dei lupi di Wall Street. 

di Michele Ballerin 


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