È da Amsterdam che si parte. 283 passeggeri
decollano, chi per raggiungere spiagge esotiche chi per tornare a casa,
sorvolando i 10.200 km che li separano dalla capitale malese. Poco prima della
partenza un passeggero (Cor Pan) pubblica la foto del Boeing 777 della Malaysia
Airlines, seguita dalla frase “Se dovesse sparire, ecco com’è fatto”. Frase
scaramantica che richiama allo scorso 8 maggio, quando un altro volo della
stessa compagnia aerea - il Boeing 370 – scompare nel nulla. D'altronde, chi si
sarebbe aspettato un’altra tragedia in poco più di quattro mesi?
Il
velo misterioso si ripresenta, come nella precedente disgrazia, ma a non
quadrare non sono questa volta le dinamiche, ma la colpa. Un missile, di gittata
superiore ai 10.000 metri, colpisce il velivolo che viaggiava a questa soglia,
considerata di sicurezza. Quello che ne resta sono le centinaia di pezzi
carbonizzati, i corpi, e i passaporti insanguinati che giacciono nei pressi di
Donetsk, la città che dal maggio scorso si è dichiarata Repubblica Popolare
indipendente. Quella
che era iniziata come una rivolta nei confronti del premier Viktor Yanukovych, è
diventata una guerra civile, e come tale, colpisce soprattutto i disarmati, in
questo caso estranei dal punto di vista nazionale agli scontri.
Un pingpong di accuse è
iniziato subito dopo l’accaduto. Gli ucraini accusano i separatisti filorussi,
questi a loro volta respingono le accuse al mittente con gli interessi. In
Russia parlano di mancato attentato al Presidente Putin - in rientro
dall’incontro dei Brics a Fortaleza – su un aereo simile, come lo era la rotta
che percorreva. Questa ipotesi rimanderebbe a quella formulata in occasione della
strage di Ustica, dove una delle tante ricostruzioni parla di un attentato a
Gheddafi.
L’articolo che apre il sito del giornale
francese Le Monde ha come titolo “I separatisti avevano davvero i mezzi per
distruggere il volo Mh 17?”. La domanda è cruciale. I missili da loro
utilizzati, procurati dalla Russia, sono infatti di gittata minore ai 10.000
metri. I missili necessari per raggiungere quest’altezza sono i “missili
terra-aria” del tipo “Buk”, in dotazione all’esercito ucraino, forniti però
dalla Russia stessa. L’esercito filorusso non avrebbe avuto difficoltà a
procurarsene segretamente.
I dati ci comunicano che
lo stesso aereo, compiendo lo stesso tragitto, non aveva mai sorvolato
l’Ucraina orientale (teatro degli scontri) dal 6 luglio. La zona era stata
dichiarata sicura, ma Kiev aveva sconsigliato di volare a basse quote.
Alitalia, seguita oggi da altre compagnie come la Air France e Lufthansa, aveva
preferito evitare quell’area. Ma ancora più strano è il fatto che il volo è
sparito dai radar prima di raggiungere le zone del combattimento.
Troppe domande. Nessuna
risposta.
La telefonata di Barack
Obama e Vladimir Putin, già programmata, riassume il clima che ci accompagna.
Freddo. I due leader hanno discusso delle sanzioni appena imposte alla Russia
dagli USA e dell’Ucraina. Putin ha inoltre negato ogni responsabilità riguardo all’aereo
abbattuto, comunicando al Presidente americano le informazioni arrivategli
dalla milizia della Novo Rossyja, incaricate delle operazioni di recupero.
Intanto Catherine
Ashton, l’Alto Rappresentante uscente, richiede una ”indagine internazionale”,
attraverso la quale chiarire le circostanze della tragedia.
Il Consiglio degli esteri, formato dai
segretari di stato dei 28, ne discuterà martedì 22 luglio, quando stabilirà le
sanzioni alla Russia riguardanti la crisi Ucraina. Sarà un’occasione per
Federica Mogherini per dimostrare la sua preparazione e le sue competenze, ma lo
sarà soprattutto per l’Europa, che deve mostrare la sua capacità di agire come
una, e non come ventotto.
Gabriele Bortolotti
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