L’Economia
mondiale sta zoppicando verso la strada della ripresa dopo anni difficili e
torridi. Nonostante ciò, in Europa l’immagine è tutt’altro che positiva. La disoccupazione
rimane altissima (nel 2013 tocca le percentuali del 26% e 27% rispettivamente
in Spagna e in Grecia), l’austerità, combinata a una politica sempre meno
risolutrice ci ha regalato dati inimmaginabili: 120 milioni di europei
rischiano la povertà, un terzo di essi non ha abbastanza cibo. Sono dati che
fanno tornare indietro lo sguardo del lettore, speranzoso di aver frainteso. A
pubblicarli è stata la “Federazione
Internazionale delle Società della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa” (https://www.ifrc.org/en/) che, nelle
sessantotto pagine del suo ultimo rapporto sulla crisi sociale in Europa, dice
che mentre tutti gli altri continenti riducono con successo la povertà,
l’Europa l’aumenta.
Nessun
altro gruppo demografico è stato colpito quando lo sono stati i giovani, che
devono affrontare livelli altissimi di disoccupazione, un futuro incerto e un
sistema sociale che sta adottando la crisi come uno standard. Il rischio che
corriamo è quello di accettare la caduta, abituarci a essa, e ascoltare gioiosi
chi ci dirà che questo brutto momento è finito.
I
giovani sono sempre più convinti che le politiche governative non hanno
trovato, né troveranno le risposte. Che non comprendono neanche le domande, e
che nulla si può fare. È questo che allontana le persone dalla Politica. Quell’Azione, Professione, Arte che
sempre più diventa un ermetico codice burocratico, perde di vista il fine
pensando solo al mezzo.
Dove
sono finite le aspirazioni? Quanti, ancora, chiedono ai bambini cosa vorranno
fare da grandi? Le volontà diventano
astratte aspirazioni, e le aspirazioni diventano sogni. Tutto scala a vantaggio
della rassegnazione, del corso del tempo.
È
risaputo che la strada verso il lavoro è tutta in salita. Barriere legali e burocratiche
aumentano la ripidità mentre i titoli di studio valgono sempre meno. Un
agglomerato di fattori negativi rischia di modellarci nel DNA, stiamo
diventando inermi, completamente avversi al rischio.
La
paura del fallimento ci impedisce di tentare strade pericolose, facendoci
perdere gli orizzonti migliori. Le ultime generazioni sono state incoraggiate a
percorrere sentieri sicuri, avvertiti delle conseguenze negative, privati del
loro senso d’orientamento e della loro creatività.
L’Europa è stata lenta nell’incoraggiare la tendenza opposta. Giovani
che hanno idee innovative si ritrovano spesso a non avere accesso a necessari
finanziamenti e risorse, finendo per abbandonare i loro progetti.
Questo ci sta facendo perdere la possibilità
di essere competitori mondiali a livello d’innovazione e d’imprenditorialità. I
dati riguardanti altri colossi come USA, Giappone, India, Brasile, confermano
questa tendenza.
“Rome
wasn’t built in a day”, ma a cadere si fa sempre in
tempo. Smettiamo di dare la colpa alle generazioni precedenti e pensiamo a
recuperare la dignità e la forza, necessari a risollevare la situazione.
Il
primo passo sarà incoraggiare i giovani a muoversi, a cogliere nuove
opportunità. Aumentiamo l’accesso a risorse non solo economiche, ma anche
culturali, che puntino a collegare gli Stati europei e a permettere ai loro
cittadini di confrontarsi, acquistando consapevolezza di se stessi e di quello
che gli sta intorno. Abbiamo a disposizione un’Europa unita, che offre risorse
in un numero maggiore rispetto alla somma di quelle che i suoi membri
offrirebbero autonomamente.
È
tempo di cambiare idea di Europa. Di affezionarsi a essa a tal punto da non
voler vedere alcuna imperfezione. È tempo di capire che per stare bene noi,
devono stare bene altri ventisette paesi. È tempo di vedere quelle dodici
stelle brillare di nuovo in cielo.
Gabriele Bortolotti
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