Europa tedesca o Germania europea? Il famoso dilemma lanciato da
Thomas Mann nel 1953 agli studenti dell’Università di Amburgo sembra oggi
ripresentarsi. Per rispondere è importante analizzare la riunificazione tedesca,
in quanto è stata protagonista nella formazione di quel sentimento d’orgoglio
nazionale che oggi è proprio di tutto il paese.
La Bundesrepublik
Deutschland (BRD) ha prima esteso la sua egemonia sulla parte orientale e
ha poi gestito autonomamente la riunificazione. La spesa per risollevare la
Repubblica Democratica non fu trascurabile ma nonostante ciò non ne uscì indebolita,
anzi sfruttò questo ostacolo come motore di sviluppo. Il problema non era però
solamente economico, per riconciliare i due territori era infatti necessario
preparare un piano che avrebbe limitato le differenze sociali e agevolato la
formazione di un popolo unico e unito. La riunificazione avvenne “sotto il
tetto europeo” il 3 ottobre 1990, solo ventiquattro anni fa.
Tra
gli anni 1949 e 1989, la Germania fu il pilastro centrale della struttura
istituzionale comunitaria. Sostenuta dagli USA e stimolata dalla disfatta della
Seconda Guerra Mondiale, perseguiva l'integrazione europea tramite diversi
strumenti, come la consolidazione dell’unione franco-tedesca, il controllo
della Commissione e, successivamente, del Parlamento Europeo. Questo
cinquantennio fu anche l’apice della politica estera della Repubblica Federale
tedesca, delle relazioni transatlantiche e dell'integrazione europea. Ma oggi
la Germania è cresciuta, perciò quanto è europea oggi? Quanta integrazione è
ancora politicamente gestibile in Germania?
Berlino ha modellato il sistema europeo
adattandolo alle sue politiche e ai suoi bisogni. Allo stesso tempo però, garantiva
uno sviluppo e un allargamento dell'UE che sarebbero avvenuti di pari passo.
Nel fare questo, la Germania era ritenuta l'unico grande paese europeo
integrazionista e quindi, il muro portante della Comunità Europea. Gli
interessi tedeschi ed europei coincidevano.
Oggi
la Germania difende esplicitamente i suoi interessi nazionali in Europa. Il
popolo tedesco ha smarrito l’entusiasmo per l’integrazione europea. Il sistema
politico si disegna come frammentato e parzialmente attraversato da movimenti
populisti. Berlino ha perso la sua capacità di comunicare con gli altri Stati
europei che non si fidano più delle sue promesse e rigettano la politica
tedesca, temendo la nascita di una Germania nazionalista. La percezione in
quasi tutta l’Europa è che la Germania ragioni da sola, avulsa dalla realtà
comunitaria in cui è calata, ostacolando le politiche europee comuni.
I tedeschi di oggi sono
abbastanza realisti da dubitare che si possa mettere il loro paese
semplicemente al servizio di una “identità europea” che non si è saputa o
voluta costruire. La crisi
attuale che riguarda il ruolo della Germania è tutta qui. I tedeschi non sono
convinti che l’attuale UE abbia in sé le potenzialità per evolversi nei famosi
“Stati Uniti d’Europa”, ma anzi
che stia retrocedendo a un’unione più timida. Cresce il timore che l’Ue possa
diventare un’istituzione vuota, volta solamente ad appoggiare le sovranità dei
diversi paesi. Cresce la paura, che va risolta con la fiducia e non con la
forza.
In conclusione va messo in
evidenza che la situazione attuale dell’UE non è soltanto dovuta alla
responsabilità della Germania. La diffusione di forze nazionaliste e
centrifughe, tra cui la crescita del populismo, si sono diffuse all’interno di
tutti i ventotto, non solamente in suolo tedesco. In Germania il consenso
europeo è rimasto al vertice, costringendo all’angolo l’unico partito anti-euro,
Alternative
für Deutschland, che però ottiene un discreto 7%, nonostante la sua
recente nascita. Proprio perché è il paese più grande e più sviluppato economicamente,
la Germania è la chiave per invertire la tendenza euroscettica. L’Ue non viene
trascinata nell’oblio dalla crisi bancaria in Cipro, ma crollerebbe se a cadere
fosse invece il suo cuore geografico e politico.
Sarah Bianconcini
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