Vannino Chiti: Presidente della regione Toscana dal 1992 al 2000, vicepresidente del Senato della Repubblica dal 2008 al 15 marzo 2013. Senatore e Presidente della XIV Commissione permanente Politiche dell’Unione europea.
1. La campagna elettorale per le
elezioni europee si è aperta con la paura euroscettica, poi smentita dal
risultato. Nonostante ciò i partiti anti-europa
italiani hanno ottenuto più seggi rispetto al 2009 e l’astensionismo è
aumentato di sette punti percentuali. Cosa, secondo Lei, ha reso l’esito
italiano comunque una vittoria?
La paura euroscettica è solo in parte smentita. È
vero che hanno ottenuto meno consensi di quanto si temeva prima delle elezioni,
ma sottovalutare il risultato di forze come il Fronte Nazionale di Marine Le
Pen sarebbe un grave errore. Sono sintomo di un disagio profondo, di una
sfiducia verso le istituzioni europee che dobbiamo affrontare. Naturalmente con
ricette opposte rispetto a quelle proposte dagli euroscettici. Più Europa e
un'Europa diversa, non meno Europa. Da soli, gli Stati europei, nel XXI secolo
non vanno da nessuna parte. Altrettanto allarmante è il dato
sull'astensionismo. Sono due modi diversi di manifestare distacco e
disaffezione verso quel sogno europeo che dobbiamo risvegliare.
Il risultato delle elezioni europee in Italia è molto positivo perché
ha visto la netta affermazione del Pd, un partito convintamente europeista ma
che crede e si batte per un'Europa diversa da quella che si è realizzata in
questi anni. Noi vogliamo contribuire a realizzare gli Stati Uniti d'Europa,
una democrazia sovranazionale che operi per i diritti dei suoi cittadini,
l'occupazione e lo sviluppo sostenibile.
2. Tra le tracce della prima prova della Maturità ne è uscita
una sulle differenze tra l’Europa del 1914 e quella del 2014. Quali sono,
secondo Lei, le differenze importanti ma che tendiamo a trascurare?
Il 1914 è una data che, come altre, evoca eventi
tragici. In quell'anno iniziava la Prima Guerra Mondiale, proprio pochi giorni
fa ricorreva il centenario. Due decenni dopo prendeva forma un altro conflitto
mondiale provocato dalla follia ideologica nazi-fascista. In entrambe queste
tragedie i paesi europei si sono fronteggiati gli uni contro gli altri
provocando decine di milioni di vittime umane. Sono tragedie assolute delle
quali a volte non ci rendiamo nemmeno conto. Altri conflitti in Europa si erano
verificati nei secoli precedenti.
Da quando esiste l'Europa unita questi sono solo ricordi drammatici di
cui è bene tenere memoria. Da più di 60 anni viviamo in pace, all'interno di
una "casa comune"; da ormai molti anni persone, servizi e merci si
spostano liberamente all'interno dell'Unione Europea. È bene non dare per
scontato tutto ciò ma impegnarsi affinché questo patrimonio si rafforzi in
futuro. Il 2014 dovrebbe impegnarci per realizzare entro i prossimi dieci anni
gli Stati Uniti d'Europa.
3. Il primo libro che ha scritto
è stato “Intervista sul federalismo”.
Quanto sarebbe importante raggiungere una federazione Europea? Quanto siamo lontani
dal farlo?
Come dicevo, l'unico approdo futuro a cui
possiamo guardare sono gli Stati Uniti d'Europa. Nel XXI secolo nessuno dei
singoli stati europei può essere protagonista da solo: nel 2030 nessuno degli
attuali membri europei del G8 sarà più nel gruppo dei paesi più sviluppati nel
mondo. Quel ruolo può averlo l'Unione Europea, a patto che diventi nel giro di
qualche anno un soggetto in grado di esercitare una leadership nello scenario
globale nel quale si muovono colossi vecchi e nuovi come Stati Uniti, Cina, Brasile,
India.
La mia convinzione è che dobbiamo darci un arco di tempo di dieci anni
per compiere i passi necessari: evoluzione delle famiglie politiche europee in
veri, nuovi e inediti partiti; rafforzamento della scelta politica da parte del
Parlamento del Presidente della Commissione, che quest'anno per la prima volta
ha visto un coinvolgimento dei cittadini con le elezioni europee, e in futuro
sua elezione diretta. In questo quadro la Commissione deve assumere il ruolo di
governo nelle materie di competenza dell'Unione; il Parlamento compiere per
intero il tragitto iniziato per svolgere una funzione di indirizzo e controllo;
i vertici dei capi di Stato e di governo, il Consiglio Europeo, deve assumere una
diversa veste istituzionale: quella di Senato dell'Unione, con poteri decisivi
nelle scelte di bilancio e di nuove adesioni.
4. Il Consiglio dei Ministri ha
un’età media di 47 anni e le figure di spicco sono sempre più giovani. Cosa
pensa che stia cambiando?
Non solo dalla formazione di questo governo, ma già dalla compilazione
delle liste del Partito Democratico per le elezioni politiche del 2013, si è
rinnovata profondamente la rappresentanza, innanzi tutto del Pd. È un processo
giusto e fisiologico: l'energia, le idee, l'entusiasmo dei giovani sono un
patrimonio. Deve però avvenire con continuità, secondo criteri di gradualità e di
merito. Si è abusato del termine "rottamazione". Lo trovo sgradevole
e fuori luogo: si rottamano le macchine, non le persone. La conoscenza, la
preparazione, l'autorevolezza, la serietà dell'impegno, non sono direttamente
legate all'età e sarebbe saggio non disperdere il patrimonio acquisito e non
identificare in un automatismo anagrafico virtù insindacabili.
5. Che consiglio dà ai giovani
che vorrebbero diventare “politici per
professione”?
L'impegno in politica non può essere una scelta
"professionale" per la vita. Deve essere interpretato come un
servizio per la collettività e può durare a lungo, in una varietà di incarichi
e responsabilità, o rimanere una parentesi più breve nel corso della vita. Quello
che sempre ci deve essere, in ognuno di noi in quanto cittadini, è la
partecipazione, il dovere civico di interessarsi del bene comune per le nostre
colettività.
Il mio consiglio allora è quello di non perdere di vista per un solo
minuto l'essenza dell'impegno politico: serietà, sobrietà, rigore, responsabilità,
cultura del confronto costruttivo.
intervista a cura di:
Gabriele Bortolotti
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